I luoghi della memoria
Seconda parte
(Prima parte v. VITA n. 2 – 2011)
Ci sono luoghi e luoghi. Alcuni si fanno notare la prima volta che li si visita, ostentano, si esibiscono, ma poi scivolano via dalla memo- ria. Altri sono più modesti, e quasi non li noti quando li vedi, ma poi, per qualche strano motivo, ti restano dentro e non ti abbandonano più. Allo Zaccaria ci sono ambedue le tipologie, luoghi glamour, ma senza spirito e luo- ghi modesti, ma ricchi di sto- ria per gli alunni e gli ex-alunni. Ci eravamo lasciati qual- che mese fa con la descrizio- ne dell’ala ovest dell’istituto, l’area degli accessi e delle porte, regno del Pappagallo Immortale e dei suoi adepti. Oggi mi occuperò dell’ala est, apparentemente più tranquilla, ma in realtà foriera di pericoli e misteriosi segreti. Prima di accedere all’ala orientale bisogna passare davanti a due luoghi assai diversi tra loro: il primo è la Segreteria, regno della gioia e dell’allegria, dove i segretari hanno sempre una battuta pronta e, per le personalità di alto livello, anche una tazza di caffè degna di questo nome. Proseguendo verso l’ingres-
so, di fronte a voi troverete uno dei luoghi più oscuri dell’istituto: l’antro infermieristico. Non fermatevi, o incauti viaggiatori, non esitate davanti alle sue porte! Potreste non tornare più, irretiti dal- l’imperscrutabile infermiera e dalla sua misteriosa bevanda, una panacea che dona l’oblio: il tè caldo.
Se riuscirete a resistere alle tentazioni dell’antro infermie- ristico e dei suoi avvisi per la prevenzione della pediculosi da capo, potrete finalmente accedere allo scalone dell’ala est, preceduto dalle macchinette del caffè e dalla Palestra dell’Infamia. La Palestra è chiamata così perché è una reliquia dei tempi infausti che hanno preceduto l’inaugurazione del Grande Progetto, anni oscuri in cui la palestra polifunzionale non aveva ancora portato luce nel mondo, e in cui i poveri alunni erano costretti a giocare a basket e pallavolo in una palestra di tre metri per quattro, con cane- stri bassissimi e una rete che veniva sollevata con un sistema di argani e carrucole ideato da un cugino problematico di Leonardo da Vinci. Chi ha frequentato i corsi di miniba- sket dello Zaccaria conserva ancora il ricordo misto a terrore delle urlate di Pucci in quello spazio ristretto, dove raggiungevano un livello di
decibel pari a quello di uno shuttle in decollo.
Salendo le scale, si passa davanti alla Cappella, luogo di culto principale dello Zaccaria. Una Cappella che, pur mantenendo intatti i suoi confessionali, il suo altare e i suoi affreschi, da quest’anno non sarà più la stessa a causa dell’addio di Padre Roberto, indefesso e instancabile padre spirituale da quando sono entrato allo Zaccaria. I luoghi restano, le persone, purtroppo, passano, anche se non vorremmo: mi sento di man- dare un grazie gigantesco a Roberto, e di fargli l’in bocca al lupo per il suo futuro. Salendo ancora, sulla destra troviamo l’ufficio di Paolo, lo stakanovista responsabile del piano delle superiori, di fronte al quale è stato collocato uno dei più grandi misteri dello Zaccaria: il Salottino delle Torture. Ho già parlato in precedenza del Salottino, ma ancora non mi capacito della sua presenza: un buon numero di poltroncine sono ele- gantemente posizionate di fronte al bagno delle ragazze, e circondano un tavolino di vetro. All’interno di questo quadrato del terrore vengono confinati gli studenti in ritardo, condannati a bere un cappuccino e leggere un giornale mentre i compagni sudano su disequazioni e verbi irregolari greci. Sarò un po’ antiquato, ma non riesco davvero a vedere come leggere un giornale in poltrona possa essere considerato una punizione. Abbandonando il piano del liceo si arriva al piano delle medie, al centro del quale si trova l’ufficio del Prefetto, che funge da centrale operativa, punto di avvistamento e sala punizioni per gli studenti più intemperanti.
Il Prefetto governa il tutto con voce tonante e con precisio- ne certosina, circondato da memorabilia dei trionfi della Sampdoria ormai ricoperti dalla polvere dei secoli. L’ufficio del Prefetto è anche il deposito cancelleria più fornito da qui alla cintura di Orione. Gessetti, carta, quaderni dimenticati da studenti di epoche passate, graffette: tutto quello che vi può servire si trova all’interno dei cassetti o degli armadi dell’ufficio del Prefetto, ed è a vostra dispo- sizione, sempre che lui ve lo voglia concedere. Altrimenti preparatevi a essere fulminati da un “Negativo!” sparato ad almeno novemila megatoni, la cui intensità dipende dall’età e dal livello di disciplina del richiedente.
Al terzo piano si trova l’ufficio della signora Morena, già ufficio di Padre Vicini e Padre Ambrogio. Qui ogni pratica viene sbrigata con apparente serenità, ma in realtà la signora Morena custodisce l’accesso a uno dei luoghi più misteriosi della scuola: la Scala Oscura. Dietro a una porta all’apparenza innocua, perennemente chiusa a chiave, si trova infatti una misteriosa scala che dovrebbe condurre al quarto piano. Nessuno sa dove porti vera- mente, né cosa si celi al suo apice. Alcuni dicono che una volta vi fosse nascosto il progetto originale del Grande Progetto, custodito per secoli in attesa che l’umanità fosse pronta per una rivelazione di tale portata; altri sostengono di aver visto il Prof. Carini aggirarsi furtivo intorno alla porta che conduce alla scala, e che in cima a essa siano nascosti tutti i vestiti da disco-music del professore, compreso il vestito bianco poi imitato da Tony Manero in Saturday Night Fever, con cui
il Prof. impazzava nelle disco- teche romagnole. Altri, infine, sostengono che il Prof. Nana, neo-Preside con diritto di potere temporale, abbia situato lì, nel misterioso quarto piano, i suoi uffici segreti, nei quali elaborerà un piano per l’organizzazione di una colossale e infinita gita scolastica, coadiuvato da una misteriosa figura conosciuta come “La Signora”.
Termina così il nostro viaggio all’interno dei luoghi della scuola. Alcuni di voi li ricor- deranno diversamente, altri ne ricorderanno altri che non ho menzionato: è naturale. Lo Zaccaria non è lo stesso per tutti per il semplice fatto che non è fatto di semplici spazi, ma dei luoghi dove abbiamo vissuto, studiato, sofferto e gioito per molti anni, è fatto dei luoghi che, volenti o nolenti, ci portiamo nel cuore e nella memoria.
Pier Vittorio Mannucci
Ex alunno